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L'italia collaterale piace, il concorso lascia perplessi

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Dopo un inizio rutilante- e poteva essere altrimenti con i fratelli Coen e sua maestà Valentino?- arriva un giorno più morbido, con un Takeshi Kitano che si risolleva con Achille e la tartaruga dalle ultime defaillance e un Barbet Schroeder che regala con Inju- La bestia nell'ombra un noir a scatole cinesi improbabile ed involontariamente esilarante. Le soddisfazioni arrivano dalla sezione "Orizzonti" e dagli italiani. Il merito è di Marco Pontecorvo che con Pa-ra-da racconta l'epopea di Miloud, clown di strada francese che recupera dalla miseria e dalla degradazione l'infanzia negata nel mondo e di Giuseppe Bertolucci che restituisce a Pier Paolo Pasolini la dignità di un capolavoro mutilato con La rabbia di Pasolini- Ipotesi di ricostruzione della versione originale del film. Un viaggio nell'Italietta di un poeta arrabbiato e unico, troppo per essere accettato e capito. Un tributo e una fotografia del passato che non può non far riflettere.

Inju- La bestia nell'ombra- Concorso

Inju è una di quelle parole giapponesi dai significati complessi e molteplici. In questo caso si gioca sulla belva che aspetta o che dorme in attesa della preda o solo di essere risvegliata dal sonno che vive dentro di noi. Barbet Schroeder, cineasta straordinariamente discontinuo, iraniano di nascita e francese di formazione, ha pensato di fare un film su questo concetto (su cui si incentra il capolavoro omonimo di Edogawa Ranpo, il cui soggetto è stato "regalato" al regista da Raoul Ruiz), sperando di intuirne le sfaccettature e i diversi aspetti. Ne esce un gioco di specchi e di scatole cinesi assolutamente scombinato che il nostro infarcisce di un diluvio di citazioni cinematografiche dedicate al noir e a tutto il cinema di genere. Un papocchio buffo e a suo modo interessante, che però non cambia il valore del film: una facile furbata in cui regia e narrazione sono al minimo sindacale, l'intelligenza dello spettatore è sottovalutata e molte trovate sono infantili e grossolane, tra cui le acrobatiche e goffe scene erotiche, per cui rimarrà nella storia il feticismo che vede protagonista la splendida Lika Minamoto, dark lady sensuale sprecata in questo farraginoso tentativo. Benoit Magimel, ormai abbonato alle ambiziose spacconate che franano miseramente,- è anche il protagonista di La possibilità di un'isola, atroce esordio dello scrittore Michel Houellebecq- si barcamena nelle vesti dello scrittore- investigatore naif Alex Fayard, alle prese con un rivale sanguinario e manipolatore. Un gran peccato, spunto, cast, location e atmosfere meritavano decisamente di più di una non voluta parodia che è un mix tra Lost in translation e La signora in giallo. Si fa una gran fatica a capire come opere di questo genere possano trovare posto in concorso. Un premio di consolazione alla carriera?

Pa-ra-da- Orizzonti

Al cinema, e nella vita, abbiamo visto clown con poteri curativi quasi miracolosi come Patch Adams- una risata d'altronde ha già di suo qualcosa di soprannaturale-, ora Marco Pontecorvo, figlio del mitico e grandissimo Gillo e ottimo direttore della fotografia, ci presenta Miloud Oukili, pagliaccio di strada franco-algerino che ora, grazie alla sua arte, leva dalla strada centinaia di bambini dalle peggiori periferie del mondo. Appartamenti sociali, centri diurni, progetti artistici stabili e molto altro offre quello che ormai è un movimento e una fondazione internazionale e multietnica, esperienza nata nel 1992 quando questo clown ficcò il suo naso rosso nella Romania post Ceausescu. Doveva rimanere un mese, ma la tragica realtà di un paese allo sbando e dei preadolescenti drogati e sessualmente sfruttati, i "boskettari" che sniffano la vernice, lo hanno tenuto lì 12 anni. E siccome tra i suoi tanti talenti c'è anche la magia, ha fatto comparire i sogni più grandi e imprevisti per questi bambini: il rispetto e la speranza. Anche se pagati, da lui e da loro, a carissimo prezzo. Un film doveroso, speciale, vibrante che racconta una storia necessaria, quella di chi agisce per un mondo migliore, diverso e possibile, anche quando l'obiettivo sembra irraggiungibile. Una vita da film, ben interpretata dall'espressivo e intenso Jalil Lespert, affiancato dalla talentuosa e affascinante Evita Ciri (altra figlia d'arte, la madre è Paola Pitagora) presenza forte e discreta che dà ulteriore forza al racconto cinematografico (ottimi anche Gabriel Rauta e Daniele Formica nel suo cammeo). Insieme, poi, hanno anche tenuto desto sul set l'interesse dei tanti ragazzini non attori, alcuni artisti di Pa-ra-da, altri miseri rifiuti all'angolo di stazione e orfanotrofi di Bucarest. E se anche in alcuni momenti la regia sembra avere alti e bassi, il 16 mm di Pontecorvo è efficace e diretto e comunque, anche quando l'errore è in agguato, è facile perdonarlo. Un applauso alla scelta narrativa di non presentare Miloud come un santo e un eroe: è fragile, iracondo, presuntuoso, debordante. Ma anche generoso, idealista, fantasioso e altruista. E soprattutto un grande artista. Jacques Tati, il suo (e il loro?) nume tutelare sarebbe fiero di loro.

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